In tutti i Paesi del mondo, gli atleti sono considerati alla stregua di veri e propri tesori nazionali. Ma nell’Iran degli Ayatollah, il regime arresta, tortura e giustizia i propri atleti.
Il 9 gennaio scorso, il regime iraniano ha condannato a morte Mohammad Javad Vafaei Sani, campione di pugilato originario di Mashhad e prigioniero politico, dopo due anni di reclusione e torture. Vafaie è stato arrestato dopo le grandi rivolte in Iran del 2019 e successivamente condannato a morte con l’accusa di sostenere il principale gruppo di opposizione iraniano, Mujahedin-e Khalq (MEK), e di “corruzione in terra”, un assurdo e medioevale capo di imputazione al quale la teocrazia al potere ricorre per motivare le proprie impiccagioni.
Ma quello di Varaie, non è il primo caso di atleta-contestatore ad essere giustiziato. Nel settembre 2020, infatti, il regime ha impiccato il campione lottatore Navid Afkari, in totale spregio dei numerosi appelli da tutto il mondo per sospenderne l’esecuzione.
Un altro campione di lotta, medaglia d’oro ai Giochi Asiatici del 2011, Mohsen Ghasemi è morto dopo quasi due anni di coma. Ghasemi. Gli aguzzini del regime lo hanno picchiato selvaggiamente in un campo di “riabilitazione” a Bojnourd.
In un altro triste caso, la Corte Penale di Zahedan ha condannato a morte Yazdan Mirzaei, medaglia d’oro “Wushu”, per reati connessi agli stupefacenti nonostante egli abbia disperatamente tentato, fino alla fine, di respingere le false accuse che gli sono state rivolte.
Da quando è salita al potere in Iran, l’attuale tirannia messianica non ha mostrato alcuno scrupolo nel giustiziare chiunque venisse considerato una minaccia alla propria sopravvivenza, e gli atleti non hanno fatto eccezione. Nel 1988, quando il regime ha massacrato 30.000 prigionieri politici – il 90% dei quali affiliati al MEK – tra questi vi erano anche Foroozan Abdi, membro della nazionale iraniana di pallavolo femminile, e Mahshid Razaghi, della nazionale di calcio.
Nel 1984, il regime iraniano ha giustiziato Habib Khabiri, amato capitano della nazionale di calcio durante la Coppa del Mondo in Argentina, un modello per molti giovani iraniani. Khabiri si era rifiutato di denunciare il MEK.
Prima della sua esecuzione, Navid Afkari ha dichiarato che i mullah stavano “cercando un collo per la loro corda”, accendendo i riflettori sulla necessità per il regime di terrorizzare il proprio popolo, ormai sempre più in rivolta.
Opprimere e maltrattare gli atleti non si limita però soltanto alla tortura e alle esecuzioni. A causa della corruzione istituzionalizzata del regime, della inettitudine e della cattiva gestione, molti beniamini nazionali sono costretti a diventare venditori ambulanti per guadagnarsi da vivere.
Nel novembre 2021, i media di Stato iraniani hanno pubblicato la storia della dura vita di Masoud Rastegar, judoka sordo nella nazionale paraolimpica medaglia di bronzo alle “Deaflympics” tenutesi nel 2017 in Turchia, costretto ora a raccogliere rifiuti per aiutare la sua famiglia.
“Quando andiamo all’ufficio dello sport e diciamo di darci qualche indumento per allenarci, ci ripetono continuamente che non ne hanno”, ha detto alla TV-online statale “Aparat”. “Sono gli stessi funzionari che dopo le vittorie mi hanno celebrato, messo su un manifesto sotto il quale fotografarsi”, ha aggiunto Rastegar.
Un altro campione di lotta, Mohsen Madhani, è stato picchiato dalle forze del regime durante il suo lavoro di ambulante. “Un atleta campione del mondo non merita di finire a vendere in strada”, ha detto lo stesso Madhani in un video pubblicato sui social media nel novembre 2020.
Gli atleti iraniani sono costretti a ripiegare sul commercio ambulante mentre il Paese siede su un oceano di petrolio e gas. Di conseguenza, molti di essi hanno lasciato l’Iran e ora gareggiano sotto altre bandiere.
Per la teocrazia al potere in Iran, la fedeltà al regime è l’unico requisito per garantirsi un successo duraturo. Quando, invece, gli atleti iraniani rifiutano di vendere il proprio onore e la loro dignità, vengono messi sotto accusa, screditati, costretti a vivere in povertà o a fuggire dalla loro patria.
Rifiutandosi di piegarsi al regime sanguinario, gli atleti iraniani si sono guadagnati un posto speciale nel cuore e nella mente della gente. Sui trofei, nel tempo, si accumula polvere, i ricordi invece brilleranno per l’eternità. Questa è la storia di quegli atleti iraniani che hanno scelto di essere Campioni del Popolo piuttosto che burattini del regime.