Il 12 luglio, in un incontro fra Maryam Rajavi, presidente-eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, e membri della Commissione Affari Esteri del Parlamento italiano, l’onorevole John Bercow, presidente della Camera dei Comuni britannica (2009-2019) è stato invitato a parlare come ospite speciale e ha offerto alcune osservazioni molto efficaci.
Smascherando il regime clericale, Bercow ha affermato che il tentativo di Teheran di ingannare il mondo sostenendo che non esista alternativa allo status quo è una sconvolgente ammissione di debolezza, con il riconoscimento di non poter difendere la propria storia e le proprie pratiche.
Di seguito sono riportati alcuni estratti del discorso pronunciato dall’ex presidente della Camera dei Comuni britannica John Bercow.
È un onore e un privilegio stare al fianco o, se volete, in questo particolare momento sedere al fianco di una delle donne più coraggiose, più salde nei propri principi e più visionarie del mondo, e mi riferisco alla signora Rajavi.
C’è un mito pervasivo che sta rapidamente diventando una sorta di allucinazione cronica nel mondo occidentale, secondo cui esisterebbe qualcosa che può essere descritto come una fazione riformista o riformante o orientata alla riforma che lotta seriamente e con crescente successo per la supremazia all’interno della dittatura iraniana.
Quel mito pervasivo è diventato un’allucinazione cronica che non è innocente, non è innocua, è estremamente pericolosa, perché è sbagliata, anzi è quasi una contraddizione in termini pensare a una fazione riformista, ribelle all’interno del contesto di una dittatura.
Quindi è sbagliato, per dirla senza mezzi termini, direi che non ha senso ed è pericoloso perché cade assolutamente “amo, lenza e piombino”, come si dice nel Regno Unito, nella trappola che è stata creata per noi dallo stesso governo iraniano. È un vecchio stratagemma delle dittature cercare di ingannare i loro nemici sottintendendo la possibilità di cambiamento, di un genuino confronto di un tipo che ci si aspetterebbe all’interno di un sistema parlamentare per influenzare il governo.
E fintanto che il regime ha in Occidente persone che sono democratiche ma che dicono: “Oh, dobbiamo sostenere i riformatori all’interno del regime, non dobbiamo ribaltare il carrello delle mele, non dobbiamo essere troppo espliciti, non dobbiamo minacciare di fare a pezzi il regime, dobbiamo sostenere i riformatori”, questo conviene ai torturatori e ai tiranni di Teheran perché riduce quasi a proporzioni trascurabili la pressione sul regime.
Finché persiste quell’allucinazione cronica, si ha un’effettiva paralisi politica rispetto all’obiettivo di tutti noi in questa sala, che è quello di ottenere un Iran libero.
Perché se la gente pensa che ci sia una possibilità di cambiamento dall’interno, anche se non ho assistito a nessuna prova, non una scintilla, non un assaggio, non il minimo accenno di una possibilità di riforma significativa nei 40 anni da quando sono diventato politicamente consapevole della situazione in Iran, fintanto che questa nozione persiste, si trasforma immediatamente nell’argomento della condiscendenza.
Perché se pensate che ci sia una possibilità di cambiamento, con una piccola spinta qui, una piccola spinta là, un altro discorso da qualche altra parte, e un tentativo attraverso una sorta di impegno o protocollo diplomatico di portare un cambiamento, questa è la vera essenza, il significato, il temperamento, l’umore, la mentalità di condiscendenza. E la condiscendenza fallisce ovunque.
Quando Sir Winston Churchill stava combattendo con le parole e la penna per ottenere un cambiamento di atteggiamento all’interno del governo britannico negli anni ‘30, un governo britannico composto prevalentemente dal suo stesso partito, Churchill disse qualcosa di Stanley Baldwin. Tutti ricordano Neville Chamberlain con il suo ridicolo pezzo di carta, non così tanti rappresentano Baldwin per la persona negativa che fu, ma Baldwin fu negativo per la sua condiscendenza.
Baldwin come Primo Ministro praticava la condiscendenza, e fu Churchill a dirgli, senza mezzi termini: “Lì siede il mio onorevole amico, il Primo Ministro, sul banco del Tesoro, il banco del governo, dovendo affrontare Adolf Hitler. E qual è il suo atteggiamento? È deciso solo a essere irresoluto, irremovibile verso la deriva, solido per la fluidità, onnipotente per essere impotente. In altre parole, assolutamente inutile”. E come alla fine disse Churchill, in modo forse un po’ brutale e scortese, ma piuttosto divertente, “Non ho nulla di personale contro Stanley Baldwin, è solo che, nel complesso, penso che sarebbe stato meglio per il mondo se non fosse mai nato”. Voi ed io potremmo pensare lo stesso dei tiranni e dei torturatori di Teheran.
La verità è che la condiscendenza fallisce. L’unica cosa che i dittatori rispettano è la forza. Quindi, non dobbiamo permettere loro di promuovere un’atmosfera di condiscendenza accompagnata dalla narrazione che non ci sia alternativa se non una serie di disposizioni che porteranno al caos. E anche questo, lo sappiamo, è sbagliato.
E non c’è da guardare nella sfera di cristallo quando si può leggere il libro degli ultimi 40 e più anni. Il Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran è la confutazione vivente della tesi che non c’è alternativa. C’è un’alternativa, è un’alternativa democratica, è un’alternativa ben organizzata, è un’alternativa concettualmente coerente, ed è un’alternativa fondata sui principi e impegnata per un programma esplicito. Se volete, è il contratto previsto da Madame Rajavi con il popolo iraniano.
Quindi, non accettiamo più queste banalità scadenti e di basso livello sul fatto che non ci siano alternative. Che sconvolgente ammissione di debolezza, di errore, di fallimento, di inganno da parte del regime dire che non c’è alternativa! Non possono difendere la propria storia, non possono difendere i propri risultati in economia, non possono difendere il proprio comportamento rispetto ai diritti umani, non possono difendersi come terroristi, torturatori, rapitori, sequestratori, aspiranti alle armi nucleari, come persone che desiderano opprimere il proprio popolo e, se possibile, anche gli altri, quindi non gli rimane che dire che non c’è alternativa.
C’è un’alternativa, e la signora Rajavi ha articolato quell’alternativa anno dopo anno sotto forma di Piano in Dieci Punti, che riguarda i diritti umani, l’uguaglianza tra uomini e donne, la differenziazione e la separazione tra religione e politica, la passione per la protezione dell’ambiente e il riconoscimento che democrazia significa dare alle persone la possibilità di scegliere chi le governa e, sì, la possibilità di cambiare anche spesso quella scelta.
Voglio solo concludere dicendo questo. Noterete nel lessico disonesto, nell’uso disonesto del dizionario da parte del regime iraniano, che dice che non c’è opposizione unita. Hanno smesso di dire che non esiste un’alternativa significativa. Dicono che non esiste un’alternativa di opposizione unita.
Bene, la risposta è che c’è un’alternativa unita con un sostegno crescente e di massa tra il popolo iraniano che crede nella democrazia, che crede nel pluralismo, che crede nel sistema parlamentare, che crede nella possibilità di scelta, che crede nell’uguaglianza, che crede nella giustizia, che crede nello Stato di diritto.
Se quello che dicono i macellai, i tiranni e i demagoghi del governo iraniano è che non c’è unanimità, beh, ovviamente, non c’è unanimità. L’unanimità, vale a dire un solo punto di vista, si trova solo in paradiso o all’inferno. Ovviamente non c’è unanimità e non ci si può aspettare che la signora Rajavi e il suo movimento di massa si uniscano ai nemici della democrazia, a persone che non sono a favore del pluralismo, persone che non vogliono il cambiamento democratico, che non credono nell’uguaglianza, che non pensano che ci dovrebbe essere il diritto a elezioni regolari e monitorate in modo indipendente; ma tra la massa di persone per le quali la fiamma della libertà non si spegnerà mai e per le quali quella fiamma arde luminosa, c’è un sostegno di massa per il cambiamento.
Ho ascoltato molte volte la signora Rajavi e suoi colleghi dirmi che non chiedono che siano gli stranieri a cambiare l’Iran. L’evento di Parigi è stato una magnifica testimonianza del sostegno esistente in Europa e in Nord America, 50 persone hanno parlato 11 giorni fa in una conferenza di un’intera giornata in omaggio alla signora Rajavi e al Consiglio Nazionale. E quello che dicevano quelle persone, me compreso, è che ciò che non dovremmo fare è metterci in mezzo, non dovremmo essere un ostacolo, non dovremmo sostenere una dittatura, ma il veicolo del cambiamento che la signora Rajavi sostiene e che le sta a cuore è un veicolo interno di cambiamento, cresciuto dal suolo iraniano, il popolo iraniano che determina il proprio futuro.
E non abbiamo il diritto di guardare dall’altra parte, di tornare a casa e di dimenticare la difficile situazione dell’Iran. È giunto il momento che le forze del cambiamento, della democrazia, dello Stato di diritto, della giustizia in Iran, rappresentate dal Consiglio Nazionale e incarnate personalmente nella leadership della signora Rajavi, abbiano la loro opportunità. Dovrebbero godere della libertà, della pace, della giustizia, dello Stato di diritto di cui abbiamo goduto così a lungo e che per troppo tempo sono stati loro negati.
Che questo inizi qui e si diffonda attraverso le nazioni finché non ci sarà un assordante grido di cambiamento e i tiranni di Teheran saranno relegati nella pattumiera della storia come meritano. Grazie.