REGIME IRANIANO IN TRAPPOLA

di Esmail Mohades

Zugzwang è un vocabolo tedesco che vuol dire “costrizione a muovere”, composto da Zug (“mossa”) e Zwang (“costrizione”). Così la Treccani: “Nel gioco degli scacchi è il termine internazionale usato per indicare il fatto di doversi muovere quando ciò costituisca uno svantaggio per il giocatore, in quanto ogni mossa di cui si dispone altera la sua posizione in favore dell’avversario”. Mai come ora questa parola spiega la situazione della dittatura al potere in Iran. Peccato, per il regime, che tutta la condiscendenza degli Usa, dei Governi europei e di gran parte dei loro mass-media, i quali di fronte allo scandaloso flop dell’attacco ad Israele del 14 aprile continuano a credere alla forza di un regime cadaverico, non potrà cambiare la realtà. Una realtà che si adegua alle loro analisi.

Dall’inizio della sanguinosa e drammatica guerra a Gaza, la posizione del regime iraniano, come da sua tradizione, è stata oscillante tra dichiarazioni dure e severe, soprattutto vaghe e generiche. Il cannibale regime teocratico a tratti si è mostrato disponibile e gentile, chiedendo perfino misure per il cessate il fuoco. Molti esperti dubitano ancora della chiara responsabilità del regime iraniano sull’avvio della guerra a Gaza, insistendo sulle responsabilità del Governo di Benjamin Netanyahu, che evidentemente ci sono. C’è anche la responsabilità della nefasta politica di appeasement dell’Amministrazione di Joe Biden ereditata da Barack Obama, ma la testa del serpente è a Teheran. Queste non sono le parole di un dissidente della dittatura, ma non vedere la fonte interminabile della crisi e la testa del serpente a Teheran è proprio da ciechi.

La teocrazia al potere in Iran vuole e genera crisi, vuole e incendia la guerra, sebbene a suo avviso il 7 ottobre si sia esagerato. Una “esagerazione” di Hamas che inevitabilmente ha fatto arrivare il fuoco della guerra nel grembo dei mullà in Iran. Sì che il regime iraniano vuole la guerra, ma una guerra di parole e col sangue degli altri; perché il regime iraniano è già in guerra, quella vera, contro le coraggiosissime ragazze iraniane, inneggianti “Donna, Resistenza, Libertà”, che non intendono più subirlo. È in guerra contro la quasi totalità della popolazione iraniana, che lo ripudia. La dittatura di Teheran è nella trappola della guerra di Gaza, una guerra che ha voluto e fomentato.

Ecco la parola Zugzwang; ora che anche i bambini sanno che il padrino della guerra di Gaza abita a Teheran, ora che è andata oltre i suoi calcoli, se reagisce peggiora la sua situazione, mostrando il suo pugno vuoto e se non reagisce è peggio, svanendo il bluff della sua forza. Il regime iraniano rischia di perdere l’ultimo manipolo dei suoi uomini, indispensabile per sedare la rabbia della popolazione iraniana. Prima di attaccare per la prima volta, direttamente, il territorio di Israele ha avvertito con largo anticipo mezzo mondo. E dopo l’attacco, un flop per il 99 per cento, il suo ministro degli Esteri si è precipitato a dire che la loro limitata reazione era conclusa. Molti esponenti del regime, però, rilasciano dichiarazioni di fuoco per spaventare i poveri analisti, fantasiosi, che credono davvero che il regime iraniano voglia o sia in grado di allestire una vera guerra contro un Paese straniero. Proprio gli stessi analisti che hanno scambiato come manifestazione di forza di un regime, incapace e corrotto, la violenza e il massacro di inermi manifestanti e delle giovani ragazze, armate solo del loro coraggio e della voglia di libertà, e le scorribande terroristiche in ogni parte del mondo.

Non sanno forse costoro che gli uomini del regime sono abili attori: dichiarano guerra a parole e nei fatti pianificano altro, completamente diverso. Purtroppo, la realtà non si adatta alle parole di questi analisti. La conseguenza dell’attacco flop iraniano ha portato fuori dall’isolamento Israele, che ha risposto con un attacco dimostrativo contro la base aeronautica più importante del Paese, ad Esfahan. Gli esultanti uomini del regime hanno dichiarato che “un attacco di zanzare” non ha fatto danni, né vittime. Il regime iraniano ha gettato il sasso del 7 ottobre e vuole tener nascosta la mano. Se qualcuno si illude che con il regime iraniano, guerrafondaio e ripudiato dal suo popolo, il Medio Oriente avrà la pace, sarà sistematicamente disilluso. Perché, non dimentichiamolo, il regime iraniano combatterà per la sua sopravvivenza fino all’ultimo sangue del popolo palestinese. Proprio per questo non può e non vuole entrare direttamente in guerra. E la evita, giocandosi anche la faccia, perché non può permetterselo. Proprio Ali Khamenei in persona, sin da subito dopo il 7 ottobre, ha dichiarato di baciare le mani degli uomini di Hamas, ma la decisione della guerra è loro.

Anche la situazione catastrofica dell’economia dell’Iran non consente il suo coinvolgimento diretto. All’inizio dell’insediamento di Biden, l’Iran per effetto delle sanzioni esportava da 100 a 200mila barili di petrolio, ora grazie alle politiche di Biden ne esporta oltre 1,5 milioni, sebbene la situazione economica dell’Iran sia più disastrosa e peggiorata. Il petrolio iraniano, trasportato con navi petroliere assicurate dalle agenzie americane, viene venduto con un forte sconto alla Cina. Ora che l’Amministrazione americana ha chiuso tutti e due gli occhi sugli affari dell’Iran con la Cina, al regime non conviene svegliare chi dorme e fa finta di dormire.

In questo contesto un motivo radicato, ma dimenticato e censurato dalle analisi sui mass-media occidentali, è il malcontento generale della popolazione iraniana, ridotta sul lastrico da una crisi economica senza precedenti. Viene dimenticata anche la resistenza organizzata, diffusa in Iran e presente all’estero, che non è “gradita” per il suo carattere indipendente dalle cancellerie occidentali, che sperano in un loro candidato per ostacolare il corso della democrazia in Iran, come hanno fatto per tutto il Novecento. In fondo, la visione e il progetto delle democrazie occidentali non sono cambiati molto rispetto al 1979, quando hanno osannato Ruhollah Khomeini aiutandolo a salire sul trono. Ora però le ragazze, i ragazzi dell’Iran e un intero popolo sfidano la violenza degli uomini del regime con un coraggio esemplare e un’inedita consapevolezza. Le Unità della resistenza colpiscono ogni giorno i centri di repressione del regime in ogni parte del Paese. Il regime iraniano teme che, se scoppiasse una guerra, gli iraniani ne approfitterebbero per scendere in massa nelle piazze e abbatterlo. Teme che le Unità della resistenza potrebbero intensificare ancora di più le loro azioni, diventando fuori controllo. Appena dopo l’attacco a Israele, la polizia morale ha invaso le strade del Paese per controllare le ciocche dei capelli delle ragazze. Fuori dalle miopie e dalle censure, in Iran c’è una vera e propria guerra da oltre 40 anni; la guerra di un regime cavernicolo contro un popolo fiero e deciso di vivere in libertà, un sogno covato da più di un secolo.

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