Maurizio Stefanini
Ogni anno tra fine giugno e inizio luglio il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana celebra un Free Iran World Summit come “espressione viva della volontà del popolo iraniano di creare una repubblica democratica e combattere ogni tipo di dittatura, sia di matrice monarchica che religiosa”, e all’insegna dello slogan “avanti verso una repubblica democratica”.
Quest’anno si è tenuto subito dopo il primo turno delle elezioni presidenziali anticipate in cui il 28 giugno gli iraniani sono stati chiamati alle urne per scegliere il successore di Ebrahim Raisi, morto il 19 maggio in un incidente di elicottero. Pur ammettendo una affluenza alle urne al minimo storico, il regime ha comunque dato una cifra del 39,3%: l’8,55% in meno rispetto al 2021. Secondo fonti di quella Organizzazione dei Mojhaedin del Popolo Iraniano che è la principale promotrice del Consiglio, però, in realtà non sarebbe andata oltre il 12%. Come spiega un loro comunicato, “il quartier generale sociale dei Mojahedin del popolo (Ompi/Mek) in Iran ha monitorato oltre 14.000 seggi elettorali in tutto il paese, comprese grandi città, piccoli paesi e aree rurali, da mattina a mezzanotte. Hanno riferito che, nonostante le estese frodi e brogli, meno di 7.400.000 persone, solo il 12% degli aventi diritto al voto, hanno partecipato alle elezioni presidenziali dei mullah, sia volontariamente che sotto coercizione. Di conseguenza, l’88% del popolo iraniano ha brandito la ‘mazza schiacciante del boicottaggio’ contro la mascherata elettorale di Khamenei e ha rifiutato clamorosamente la dittatura religiosa. Hanno dichiarato che il loro voto definitivo era per il rovesciamento del regime”.
“Anche sulla base delle cifre gonfiate del regime, l’affluenza alle urne è inferiore a quella dell’elezione di Raisi. Il semplice fatto che le elezioni organizzate da Khamenei siano andate al ballottaggio riflette la debolezza e il disordine all’interno del regime” ha ricordato nel suo discorso al summit la leader del Consiglio Maryam Rajavi. Però, come ha pure ricordato, “il prossimo presidente entrante rappresenta la continuazione della strategia del leader supremo dei mullah, Ali Khamenei. È un membro Basij immerso in quattro decenni di repressione e guerra, un seguace del boia del 1988 Ebrahim Raisi e un fedele servitore dell’agenda di Khamenei di fabbricare bombe. Lunedì scorso Khamenei, con la massima spudoratezza, ha dichiarato che anche la minima deviazione dalla sua posizione era inaccettabile”.
Sempre Maryam Rajavi ha sottolineato come “queste elezioni riflettono la totale disperazione politica e strategica del regime teocratico. Un mullah sanguinario e cinque membri criminali dell’Irgc incarnano soprattutto le mani vuote del regime in questa fase finale. Le statistiche e perfino il numero dei voti non validi mostrano il declino della base sociale del regime.
Il monitoraggio diretto e l’osservazione dall’inizio alla fine delle cosiddette votazioni, dalle 8:00 alle 12:00, in oltre 14.000 seggi elettorali da parte dei simpatizzanti dell’Ompi, indicano che il boicottaggio ha inferto un colpo importante al regime, con l’88% degli iraniani che si è astenuto dalle elezioni fraudolente. Si è recato alle urne solo il 12% degli aventi diritto, meno di 7,4 milioni di persone. Questa cifra comprende coloro che hanno votato volontariamente, coloro che sono stati costretti a recarsi alle urne attraverso vari sistemi e coloro che hanno espresso schede non valide o bianche. Questa travolgente astensione rappresenta il deciso rifiuto della dittatura da parte del popolo iraniano e il suo chiaro voto per il rovesciamento del regime, segnalando l’imminente vittoria di un Iran libero sotto una repubblica democratica”.
“I riformisti di questo regime irriformabile, che, secondo il loro leader, chiedono due o tre seggi in parlamento, questa volta sono stati utilizzati per aumentare l’affluenza alle urne. Tuttavia, quando gli è stato chiesto, il loro candidato ha ribadito che i suoi programmi e le sue politiche sono decisi da Khamenei, e che deviare da essi è per lui una linea rossa”. “Il risultato è che Khamenei mirava a risolvere la questione della successione e ad assicurare la sopravvivenza del regime dopo la sua morte attraverso queste elezioni. Tuttavia, ha fallito in questo tentativo, portando il regime ad un passo significativo verso la sua caduta. Queste elezioni avevano lo scopo di affrontare il problema della successione di Khamenei e garantire la continuità del regime, ma hanno lasciato il regime senza un chiaro successore. Si prospettano giorni più bui per il regime teocratico. Il conto alla rovescia per il rovesciamento è iniziato”.
“La Resistenza iraniana è pronta a voltare la pagina più oscura della storia dell’Iran. Questo movimento organizzato, che presto entrerà nel suo 60esimo anno, è emerso dalle battaglie contro entrambe le dittature dello Scià e dei mullah. Ha resistito a una lotta segnata da tortura, prigionia, esecuzioni e continuo esilio, ma non ha vacillato nella sua ricerca della libertà, rimanendo fermamente fedele ai suoi principi e dimostrando la sua competenza politica e storica nel guidare una trasformazione significativa verso un Iran libero. e una repubblica democratica.
La sofferenza e il sacrificio dei torturati e dei massacrati sono la spina dorsale dei muri impenetrabili e le linee rosse di questa resistenza contro ogni forma di tirannia”. La Resistenza iraniana non rifiuta l’Islam ma chiede “un Islam di libertà”, perché è “la libertà, nella sua essenza, è la rinascita dell’umanità, la linfa stessa delle rivoluzioni”.
Definendo Khamenei come “l’erede dello Scià con un turbante in testa” e Raisi come “il macellaio della repressione del 1988”, ricordando il modo in cui il regime marginalizza le donne, Maryam Rajavi ha esaltato la generazione iraniana che è cresciuta con le “rivolte incessanti” che si sono accese dal 2017, ed ha evidenziato i tre errori strategici del regime. I grandi massacri della repressione del 2019 e 2022, che hanno messo la società civile contro il governo. Le purghe reazionarie all’interno dello stesso governo, che lo hanno indebolito. La decisione di infilarsi nel conflitto mediorientale, con cui Khamenei ha cercato di essere il beneficiario delle immani sofferenze di cui sono vittime sia i palestinesi di Gaza che gli ebrei, e che vanno peraltro assieme al sempre più massiccio appoggio alla aggressione russa all’Ucraina. La leader della Resistenza Iraniana ha però deplorato che malgrado ciò la politica dell’Occidente nei confronti del regime di Teheran continui ad essere in gran parte di appeasement, che incoraggia il regime. In risposta a queste “prese in giro” ha voluto invece “onorare la memoria del senatore Joe Lieberman, scomparso lo scorso 27 marzo. Un esponente statunitense che secondo lei “ha incarnato la fusione tra politica e integrità”, per avere in particolare affermato: “questo regime è criminale. Secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il popolo iraniano ha il diritto di ribellarsi contro questo regime”. “Possiamo e dobbiamo liberare l’Iran!”.
20.000 messaggi di appoggio sono arrivati dall’interno dell’Iran: il doppio dell’anno scorso.E da fuori dell’Iran si sono aggiunti gli appoggi di 30 leader statunitensi,138 leadere, 4000 legislatori di tutto il mondo al piano in 10 punti di Mryam Rajavi per il futuro dell’Iran. In contemporanea all’evento di Parigi ce ne è stato anche uno a Berlino.L’ex-ministro francese di Esteri, Difesa, Giustizia e Interno, Michèlle Alliot-Marie in un intervento all’evento di Parigi ha appunto ricordato la grande portata simbolica del tenere manifestazioni del genere in contemporanea in due città che nel corso del XX secolo furono simboli della Resistenza contro i totalitarismi: Parigi contro il fascismo; Berlino contro il comunismo.
Ma quello della Alliot-Marie non è stato che uno dei molti saluti, che come quantità hanno anche superato la cifra già ragguardevole di quelli dell’anno scorso. L’ex-vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pense ha ad esempio detto che “la fine del regime è dietro l’angolo”, e che “sicuramente gli Usa vedono molto meglio il covo del serpente”. “Il regime dell’Iran sta dando armi ai russi in Ucraina, e anche a Hamas. Questa gente ha esportato terrorismo per anni. Bisogna fermarli”. Peter Altmeier, ex-ministro tedesco di Economia e Energia, ha denunciato che il regime iraniano “non può fare altro che giustiziare ogni giorno, anche giovani che avrebbero una vita davanti”, a si dice “convinto che entro mesi o anni l’Iran diventerà un Paese più democratico che la maggior parte degli stessi Paesi d’Europa”. L’ex-primo ministro belga Guy Verhofstadt ha rivolto un appello al nuovo Alto Rappresentante per la Politica Estera della Ue Kaja Kallas “per cambiare drasticamente la politica europea contro i mullah, che invece continuano a compiere i loro crimini contro il popolo iraniano e nel mondo”, tra ricerca del bomba atomica e destabilizzazione del Medio oriente. “Non c’è organizzazione terroristica al mondo che non prenda aiuti dall’Iran”, ha ricordato, “e adesso aiuta anche l’attacco russo in Ucraina, Ha dunque proposto una “strategia su tre pilastri”. Definire il regime terrorista; nessun appeasement per il nucleare; porre termine alla strategia degli ostaggi. “Il 93% degli iraniani non ha votato”, ha ricordato. “Non sono rappresentanti del popolo. Ci sarà un futuro senza scià e senza mullah”.
Neanche l’ex-primo ministro del Canada crede alla solidità del regime degli ayatollah. Specialmente se sostenuta “dallo stesso tipo di esperti che ancora nel 1978 parlavano di solidità del regime dello Scià”. “Le politiche di appeasement dell’Occidente hanno solo reso il regime più aggressivo”. “Con il vostro lavoro state spaventando il regime, stanno perdendo il potere”, dice al Consiglio l’ex-segretario di Stato Mike Pompeo.
Altri messaggi di appoggio sono arrivati da delegazioni del Congresso Usa, del Parlamento britannico, del Parlamento Italiano, del Canada, del Kosovo. Dall’Italia la deputata Naike Gruppioni ha annunciato la prossima presentazione di una proposta per far dichiarare i Pasdaran gruppo terrorista.
“La diplomazia Usa si sta adoperando per far cadere il regime iraniano, un regime oppressivo e che va contro la sicurezza internazionale”, ha detto l’ex-consigliere dalla Sicurezza e ex-ambasciatore Usa all’Onu John Bolton. “L’Iran ha inviato droni alla Russia contro gli ucraini, dimostrando di essere una grande minaccia alla sicurezza internazionale. Anche il suo appoggio alla Corea del Nord è stato sanzionato a livello internazionale”. “Gli slogan non saranno mai efficaci come le sanzioni. Non è vero che questo regime durerà per sempre, anche se dura da 40 anni”.
Ex-primo ministro britannico ed ex-ministro degli Esteri, Mary Elizabeth Truss ha denunciato come il regime di Teheran rappresenta “una minaccia non solo per il popolo iraniano, ma per tutto il mondo. L’Iran sta esportando tecniche brutali. L’Iran vuole cancellare la libertà in tutto il mondo, a parte distruggere Israele. Non ci deve essere appeasement, bisogna mettere sanzioni e pressioni, prima che un’arma nucleare o renda ancora più pericoloso. L’Iran lotta con Russia e Cina, che vogliono mettere a rischio il nostro modo di vivere”. L’attacco all’Ucraina e le minacce a Taiwan.
“Il mio Paese è stato occupato dalla bestia chiamata Russia”, ha ricordato la ex-presidente della Estonia Kersti Kaljulaid. “Bisogna porre termine ai regimi dell’Iran e di Putin. Le politiche di appeasement non portano a nulla”. “Gli iraniani hanno boicottato il voto perché si sentono presi in giro da questo regime. L’idea di dover scegliere tra sei candidati scelti dagli ayatollah non li convince” è l’analisi dell’ex-Speaker della Camera dei Comuni John Bercow, che ha pure osservato: “in 40 anni di vita politica non sono mai passato per una causa che avesse un appoggio più vasto di questo”.
Altri saluti sono arrivati dal consigliere alla sicurezza di Obama generale James Jones, dall’ex-segretario britannico per il Galles David Jones, dall’ex-primo ministro moldavo Natalia Gavrilita, dall’ex-primo ministro irlandese Enda Kenny, dalla ex-senatrice colombiana Íngrid Betancourt, dal deputato norvegese Michael Tetzchener, dall’ex-direttore dell’Ufficio per l’impegno pubblico degli Stati Uniti Linda Chavez, dall’ex-ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner.
Il deputato lituano Emanuelis Zingeris, vicepresidente dell’assemblea parlamentare del Consiglio di Europa, ha ringraziato i Mek per diffondere quello che ha definito “un islamismo civile”. La deputata ucraina Kira Rudik ha ringraziato per l’esposizione di una bandiera ucraina. “Stiamo tutti lottando per la stessa cosa. La vostra vittoria per noi è importante, perché permetterebbe anche a noi di sopravvivere”.